Le condizioni di vita degli studenti universitari di una cittadina del Laos meridionale nel conflitto tra speranza e necessità.
Il sole che cala colora il Mekong di tinte calde, il fiume è immenso, le proporzioni impalpabili. Minuscole figure si agitano a pelo d’acqua, sono i pescatori che prendono il largo con le loro barchette.
La magia dell’Asia è fatta anche di cose semplici: un fiume, il tramonto, i colori e il rumore sordo dei passi che accompagna la fine del giorno.
Pakse ha anche un altro volto, meno romantico ma non meno reale: è quello degradato della baraccopoli degli studenti universitari alle spalle del Teacher Training College, la facoltà dove si forma il corpo docente del Paese.
Una fogna a cielo aperto scorre tra una moltitudine di baracche in carton gesso in cui convivono un centinaio di studenti. Sono ovunque, abbarbicate l’una sull’altra nel più classico dei disordini asiatici. Dieci metri quadrati di povertà più una turca fuori terra a far da bagno ospitano due, tre, anche quattro persone. All’esterno pattume, degrado, terra e qualche gatto in cerca di un boccone dimenticato.

Qua e là, estemporanei SUV giapponesi si fanno largo a passo d’uomo tra le fronde delle piante che fanno capolino sui i viottoli. A bordo, eleganti signori con il portafoglio pieno vengono a comprare un po’ di disperazione.
Alcuni studenti della baraccopoli di Ban Nun Doo si prostituiscono per pagarsi gli studi, l’affitto, un piatto di riso, la ricarica del telefonino. Ragazzi e ragazze, la miseria non è sessista. Acquisire un diploma da insegnante significa ottenere un impiego pubblico e per raggiungere l’obiettivo molti di loro sono disposti a tutto.
«Ti piacciono i gatti? Vuoi un gatto? Ti faccio un buon prezzo», esclama un ragazzo non appena mi vede chinato ad accarezzare uno dei tanti mici che scorrazzano qua e là alla ricerca di un po’ di caritatevole umanità. Chi non vende sé stesso cerca di campare come può, vendendo quello che gli passa sotto il naso.
«Ehi, farang, hai già mangiato? Vieni a mangiare con noi», esclama una ragazza sull’uscio della porta. Mi accomodo sulla cerata a quadretti che fa da pavimento. Nella baracca convivono due ragazze e un ragazzo. Fuori, la curiosità cresce. Qui uno straniero non s’è mai visto, il quartiere frequentato dai turisti è lontano e non c’è trasporto pubblico per arrivare a Ban Nun Doo.
In Laos si usa mangiare per terra e non resta che adeguarsi. Nell’alloggio, oltre a un letto che sta in piedi con la colla e i chiodi arrugginiti, c’è poco altro. Un’asta per gli abiti, un minuscolo tavolino e un pannello elettrico autocostruito: sembra che per vivere non serva altro.
Il mio francese annebbiato dal tempo mi è d’aiuto per farmi capire, il mio lao raffazzonato gli dà una mano. Nella mezzora che ho passato in compagnia dei tre ragazzi, i loro volti non hanno mai smesso di sorridere.

L’unico libro in lingua italiana che vi farà scoprire uno dei Paesi meno conosciuti dell’Asia.