Al contrario di molti espatriati, da italiano all’estero non mi sono sentito offeso, anzi. In fondo che ha detto di male il ministro? Pensando alla fauna expat locale trovo tutto ciò banalmente vero.
L’espatriato tipo che finisce a lavorare a Londra non è lo stesso che approda in Asia. A Londra se sei uno sfaccendato non trovi lavoro nemmeno come volontario; in Asia, considerato il basso costo della vita, il clima favorevole e la carenza di certi servizi, c’è posto per tutti. O almeno così qualcuno pensa, talvolta sbagliandosi di grosso.
Di camionisti che si improvvisano cuochi l’Asia è piena. In Italia non potrebbero nemmeno aprire una lavanderia a gettoni, qui si atteggiano a chef stellati. Bassi costi di investimento, poca burocrazia, poche regole: «Che ci vuole per aprire un ristorante? Sono italiano e so fare la carbonara». Ecco.
Qualche anno fa incontrai un funzionario della nostra ambasciata di Bangkok. In attesa del nostro aereo facemmo una chiacchierata. A.F. conosceva bene le carceri thailandesi perché ci era dovuto andare per assistere i nostri connazionali che ci finivano dentro a vario titolo. «Non ce n’è uno normale» mi disse. E se lo diceva lui.
Purtroppo l’Asia di gente così ne è piena. Negli ultimi due anni la Thailandia ha reso sempre più stringenti i criteri per soggiornare nel Paese, sia che si tratti di turisti, che di espatriati. Troppi lavoratori clandestini, troppi sfaccendati, troppe persone che non si sa cosa facciano e come campino nella terra dei sorrisi. Il tempo delle porte aperte a tutto e tutti è finito.
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