Era seduto al tavolino accanto in compagnia di una ragazza thai. Ogni tanto ci lanciava sguardi ammiccanti accompagnati da un sorrisetto da ebete. Avevamo capito tutti che era un italiano, che non era un turista e che cercava di attaccare bottone. Era una calda domenica di maggio, l’afa soffocava le strade di Nong Khai, una cittadina di provincia della Thailandia nord orientale. Alla fine il modo di inserirsi nel discorso lo trovò, non mi ricordo come. Viveva a Loei, un’anonima cittadina sulle colline tra Udon Thani e Pitsanulok, dove l’economia locale è fatta di zappe e zolle di terra.
Non era sicuramente un contadino. Fui io a stanarlo facendogli la domanda che non va mai fatta a persone così. «Sei qui a Nong Khai per lavoro?» gli chiesi. «No, no, eh…sono qui per il fumo…doveva arrivare ieri ma ci sono stati dei problemi» rispose lui, tra fierezza e imbarazzo.
Ritratto dell’espatriato perdigiorno
Sulla trentina, nessun lavoro, nessun titolo di studio, col vizio del fumo e delle belle donne: è l’espatriato tipo che sceglie le cittadine di provincia della Thailandia per accamparsi. Sì, accamparsi, proprio come gli zingari. Clima favorevole, basso costo della vita, socievolezza delle persone sono i fattori che rendono le campagne thailandesi mete preferite da molti stranieri. Accanto a tecnici, professionisti e imprenditori che sono venuti a creare valore in un’area del mondo in cui gli spazi di espansione dell’economia sono ancora tanti, ci sono tanti scappati di casa a vario titolo: da chi non ha mai lavorato in vita sua a chi in Italia ha combinato solo guai. Generalmente le due comunità di espatriati non si amalgamano. Chi vive in Asia per lavorare non condivide lo stile di vita dei perdigiorno.
Trovare l’amore tra gli sgabelli di un bar
Arrivano come turisti, nemmeno il tempo di entrare in un bar e hanno già conosciuto l’amore della loro vita, una di quelle ragazze che nel bar ci lavora in minigonna e tacchi a spillo. Il clima tropicale e il fattore vacanza fanno il resto. L’elemento che li accomuna è la ricerca del fantomatico “lavoretto”, la chiave per restare, la giustificazione psicologica alla loro voglia di far niente. Per loro tutto è facile, non sanno nemmeno che in Thailandia taluni mestieri sono vietati agli stranieri. Molti decidono di aprire un bar, pur senza sapere come si prepara il più stronzo dei cocktail. Gli hanno detto che intestando tutto a una thailandese è tutto semplice e bastano pochi soldi. E così il novello imprenditore consegna la sua vita nelle mani della sanguisuga che, con la collaborazione di amici e parenti, lo spolperà vivo senza lasciargli nemmeno gli occhi per piangere.
Una storia che si ripete
Alcuni si svegliano dall’incantesimo e tornano in Italia, altri ricominciano daccapo, affidandosi alle cure di un’altra ragazza, conosciuta in un altro bar, convinti che «Lei non è come le altre». E tutto si ripete.
Il mio primo impatto con il sud-est asiatico risale al 2010, e fu devastante. Due anni dopo ci tornai per un lungo viaggio a cavallo di sei Paesi. Doveva essere solo un’esperienza rigenerante e invece finii per scavare dentro me stesso. Quei sei mesi cambiarono la mia vita.